Video splendido per un pezzo altrettanto evocativo.
Tornano i Tinariwen con Elwan, in uscita il 18 febbraio per la ANTI- e registrato, come il precedente album, nel deserto di Joshua Tree in California. Ho sentito altri due-tre brani e il livello sembra essere quello di sempre, ovvero medio-alto.
Se dovessero domandarmi cosa hanno di diverso i Tinariwen dallo stuolo di tuareg-rock bands che si sono moltiplicate in questi anni, con risultati artistici alterni, lo riassumerei in questo modo: they got the blues. Ovvero solo loro riescono a creare un'atmosfera che è il riflesso di un moto dell'anima.
Che è quella ipnotica e pacificante del deserto, del cielo, e della sabbia. A qualunque latitudine e in qualsiasi continente essi si trovino.
Mi va di inaugurare il 2017 con un disco uscito esattamente 40 anni fa, e ristampato di recente in versione espansa.
Siamo dalle parti dei 'figli del Negus', ovvero di quei musicisti jamaicani di cui si è parlato qui mesi fa, dediti ad una miscela di reggae, dub, jazz e ritmi africani, che hanno fatto dell'immaginario legato alle mitiche origini del Rastafarianesimo (che vedeva in Hailé Selassié una sorta di profeta/salvatore) il loro credo e la loro bandiera.
E' incredibile constatare, peraltro, quanto la carismatica figura di Bob Marley, spesso purtroppo commercializzata nei suoi aspetti più superficiali, abbia posto in ombra una miriade di autentici campioni.
Il disco è conosciuto anche come l'unico album reggae pubblicato dalla Blue Note. Ma al di là di questo, Rico - che è tuttora in circolazione - è stato una delle figure cardine di quel movimento che ha portato a far evolvere lo ska dei primi giorni nel jazz/roots-reggae dei '70.