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sabato 2 luglio 2016

Caribbean Renaissance

Facciamo un gioco: quanti vinili riconoscete?


Era dai tempi del magnifico Rubber Orchestras (2011) che non scrivevo di Anthony. Ahh, le glorie dell'auto-citazione.

Possiedo poche certezze. Una di queste è che Anthony Joseph incarna una delle rare figure attuali in grado di tenere insieme identità e appartenenze, musicali e non, differenti, spesso anche in conflitto tra loro.

E, nelle tragiche condizioni socio-politiche in cui versiamo (per non dire semplicemente umane), ciò è un esempio quanto mai prezioso di come il riflettere su e il riscrivere la propria storia, oltre che possibili forme d'arte, siano un antidoto al riduzionismo e alle banalizzazioni, comuni ma perverse risposte umane al dubbio, alla paura e a ciò che non si riesce a comprendere.





Anthony Joseph, poeta-scrittore-musicista, classe 1966, nato a Port of Spain (Trinidad & Tobago), vive dal 1989 in Inghilterra. Cresciuto dai nonni, inizia a scrivere giovanissimo, e nelle frequentazioni familiari presso la Chiesa Battista entra in contatto con spirituals e sermoni impregnati dei natii ritmi caraibici. Una sorta di processo di ri-apprendimento e di ri-appropriazione, in un contesto estraneo e lontano, delle proprie origini, come persone e come popolo, compiuto attraverso riti e rituali comunitari.

In questo 2016 funestato di notizie di attentati e di barconi affondati nel Mediterraneo, Anthony vuole dire la sua sul mondo, cercando - trasmutazione alchemica resa possibile, appunto, dall'arte - di rendere soggetto ciò che, visto attraverso lo sguardo dei media e conosciuto tramite internet e i social network, viene per lo più trattato come oggetto.

E lo fa (ri)partendo dalle proprie origini. 





Caribbean Roots (Heavenly Sweetness, 2016) è un disco che già dalla copertina presenta uno scenario ben poco da cartolina: una pittura surrealista/espressionista che raffigura un paesaggio urbano dis-umano (privo di presenze umane), in cui si aggirano due figure diaboliche, con tanto di ali, corna e forcone.

Le influenze caraibiche, mento-calypso-etc, in realtà innervano tutta la musica di Anthony Joseph, a partire dal primo album con la Spasm Band, nella sua carriera solista e nei contributi per altri progetti (i nostrani, ottimi Mop Mop).

Non resta che ascoltare e lasciarsi andare sull'onda sinuosa dei ritmi intessuti da Anthony e da una band fenomenale, con un orecchio attento alle liriche. Our History parla, sì, della storia del popolo di Trinidad: di resistenza, talvolta anche violenta, al colonialismo. Si tratta di una storia sempre ridondante, che si ripete a livello di dinamiche e di eventi, che pur nella specificità delle singole storie locali sembra avvitarsi su stessa in un processo in cui, apparentemente, non riusciamo ad apprendere dai nostri errori. Un processo in cui, per sfuggire ai diavoli della copertina, l'unica soluzione per non soccombere sembra essere quella della fuga.

Noi che possiamo permetterci di non fuggire allora potremmo, come minimo, cercare di lottare, almeno nel nostro piccolo. E in ciò la musica e l'arte ci vengono sempre in aiuto.


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