E' consigliato parlare con gli sconosciuti ...

E' consigliato parlare con gli sconosciuti ...

sabato 28 novembre 2015

Cose invisibili, ma reali


Thiago França
Sambanzo: Coisas Invisìveis
(autoprodotto, 2015)


Brasile, Africa occidentale, jazz e ritmi tradizionali. La miscela che, nelle mani 'giuste', diventa incandescente. In questo caso le mani, e il fiato, sono quello del sassofonista di San Paolo Thiago França, uno che bazzica i circuiti 'giusti' dell'avant-jazz brasiliano, ambito in grandissimo fermento (Sao Paolo Underground, Chicago Underground Duo, in gran parte farina del sacco di Rob Mazurek per intenderci).

Disco interessantissimo, diverso dal precedente Sambanzo, più spostato verso suggestioni ethio-jazz. Per estimatori del genere ... ma non solo. 
E' un peccato che musica così, disponibile per l'ascolto su youtube e per il download gratuito, non trovi orecchie pronte ad accoglierla.



mercoledì 25 novembre 2015

Wu Ming in tour



26 novembre

VITTORIO VENETO
h. 20:45, prima nazionale al Museo della Battaglia

26 novembre

PAVIA
h. 21, Sala conferenze Broletto

27 novembre

BELLUNO
h.20, Casa dei Beni Comuni

28 novembre

MILANO
dalle h.18, L’Invisile ovunque e Schegge di Shrapnel al C.S. Cantiere

3 dicembre

RAVENNA
h.21, Dock 61

11 dicembre

BOLOGNA
h.21, Vag61
via Paolo Fabbri 110.
Dettagli a seguire.

12 dicembre

IMOLA (BO)
dalle h. 16, Cantalamappa e L’Invisibile ovunque al CSA Brigata 36


In evidenza le presentazioni vicino a casa mia :-D
N.B.: la data di Milano sarà anche l'occasione per un reading/concerto dei Wu Ming Contingent, che presenteranno il nuovo album Schegge di Shrapnel, in uscita il prossimo febbraio.





venerdì 20 novembre 2015

Dischi che faccio fatica a togliere ...



Madredeus
Existir
(1990)


... di gruppi fantabulosi, come appunto i Madredeus ...


La cui musica associo, per un automatismo del cuore, a questo scorcio della mia Lisbona, il Mirador de Santa Lucia:



domenica 15 novembre 2015

... (2)



Sto cercando di dare una collocazione al senso di fastidio - chiamiamola pure rabbia - che da un paio di giorni a questa parte staziona all'altezza del mio stomaco.

La mia verità, quella che ho scoperto essere vera per me, è che provo dolore e commozione nel vedere il volto di una giovane donna italiana che ha perso la vita in maniera assurda, insensata, una ragazza a me sconosciuta, ma probabilmente vicina per età, gusti e desiderio di condividere una serata piacevole con gli amici. L'immagine di un volto trasmesso su tutti i media nazionali, senza alcuna delicatezza nei confronti di chi, quel volto, l'ha conosciuto e amato sul serio. Un volto tra centinaia. But the show must go on, baby. 

Ho poi scoperto un'altra verità - vera per me, ancora una volta: che i morti non sono tutti uguali, non hanno il medesimo peso. Quelli dell'attentato dello Stato Islamico a Beirut sono passati quasi inosservati, come oscurati dai tragici eventi di Parigi, avvenuti nella serata dello stesso giorno. O ancora, le vittime di Ankara dello scorso 10 ottobre. E così via, l'elenco potrebbe essere tristemente ancor più lungo.
Non si tratta semplicemente della vicinanza geografico-culturale, e dei processi di identificazione che scattano nei confronti delle vittime, viste come più o meno simili a noi per gusti, valori, stile di vita, abitudini (motivo per cui gli attentati al Museo del Bardo e della spiaggia di Tunisi, che hanno coinvolto turisti, hanno comprensibilmente suscitato paura, rabbia e sgomento in tutto il mondo).

C'è di mezzo, altresì, una percezione etnocentrica, che rende ragione dell'anestesia emotiva con la quale ci difendiamo da anni dalle notizie sulle guerre in Africa, Asia, Medio Oriente, scenari di morte e distruzione per antonomasia. Chissà poi se, al di là del dato di realtà, le persone si abituino mai davvero alla guerra, o se sia piuttosto un pregiudizio-scorciatoia della nostra cultura. Ennesimo attacco kamikaze in Palestina o in Israele, ennesimo cassetto che si apre, chiusura di sicurezza nella nostra memoria (nel caso in cui arrivi alla nostra attenzione ...).

Eventi sanguinosi come quello che è stato battezzato l'11 settembre di Parigi, così come l'attacco dello scorso gennaio alla redazione di Charlie Hebdo, ci fanno sentire più uniti, coalizzati contro un nemico. E' molto rassicurante. Ma è anche degno di nota che per sentirci vicini ai nostri simili, ai nostri amici, per ricordarci dei legami che sempre ci uniscono, nel bene e nel male, siano necessari fatti così tragici ed eclatanti. Perché dobbiamo arrivare a sentirci a tal punto minacciati per ricordarci l'ovvietà di quanto sia bello stare insieme, condividere una serata con i propri cari, il piacere del calore umano e del sentirsi tutti sulla medesima lunghezza d'onda? 

Altro che solidarietà, se i meccanismi di potere ci orientano persino nel 'com-patire', nel soffrire insieme/soffrire con, portandoci quasi ad una suddivisione dell'umanità in categorie: più o meno lontana, più o meno simile a noi, più o meno esistente ai nostri occhi, a seconda della percezione suscitata dall'interesse e della rilevanza date dai media. 
E' un processo ampiamente studiato dalla sociologia, dalla psicologia sociale, dall'antropologia, già noto e assai comprensibile, umano oserei dire. Che tuttavia mi genera profonda rabbia, oltre che un senso di solitudine: come se mi trovassi in una scomoda minoranza, che forse non tollera più di tanto la macerazione emozionale, e che - nei postumi immediati di un caos ribollente di paura, stupore attonito, incertezza e retorica - risulta come una voce fuori dal coro, additata a idealista o, ancor peggio, giustificazionista. O con noi o contro di noi, e via di escalation in escalation.

Sento nel mio cuore che davvero, forse, c'è speranza per un mondo più giusto, equo, libero, democratico. Ma soltanto quando anche la pietà, la compassione, il dolore, l'indignazione, la vergogna, non avranno distinzioni di colore, bandiera e latitudine. Quando impareremo a soffrire anche per coloro i quali non possono essere più distanti e diversi da noi, a indignarci allo stesso modo. 

Per compiere un simile salto è a mio parere necessario un cambiamento radicale di pensiero, una disponibilità a non lasciarsi coinvolgere in facili retoriche e un'apertura bisognosa al confronto, che non è solo una bella parola di moda ma incarna una necessità - altrettanto umana - che parte dalla consapevolezza della nostra parzialità, incompletezza e arroganza.

sabato 7 novembre 2015

Musica per ipnotici matrimoni elettrificati


Abba Gargando 
Abba Gargando 
(Sahelsounds, 2015)


"Low-fi Tuareg guitar from renowned Timbouctou musician Abba Gargando. Original compositions and folklore classics from hypnotic electrified weddings to quiet fireside recordings in the refugee camps. Collected and recorded on cellphones, sparse recordings in the medium where he is best known".


Ho vergognosamente copiato e incollato la descrizione fornita dal comunicato stampa della Sahelsounds perché in primo luogo è scritta benissimo, e poi perché il fascino visionario delle parole rispecchia efficacemente e felicemente quello della musica.

Abba Gargando è un nome che non mi è nuovo. Dopo una breve ricerca sul sempre utile rateyourmusic, scopro che un suo pezzo compariva nella interessantissima raccolta Laila je t'aime (Mississippi Records/Sahelsounds, 2012), ideale prosecuzione di una serie di cassettine di culto sempre uscite per Sahelsounds (Music from Saharan Cellphones). 

Il mio corpo, il mio cuore, i miei pensieri, tutto vibra gioiosamente quando ascolto musica del genere. Parlando qualche settimana fa con gli amici di Radio Pane Salame (ciao ragazzi!) di musica del popolo Tamasheq, o Tuareg che dir si voglia, si diceva del magnetismo di questi suoni del deserto, rock'n'roll nell'attitudine combattiva e blues nell'anima, che hanno bisogno tuttavia di un tempo di acclimatamento alle nostre orecchie. In maniera sensata si rilevava la necessità di penetrare, almeno un minimo, in un contesto artistico e geo-culturale ricchissimo, ma distante anni luce dal nostro modo di intendere l'arte, la vita, la società, le relazioni. Basti solo pensare alle difficoltà linguistiche, che ci portano ad usare indistintamente termini ed espressioni che tra loro coincidenti non sono (ad esempio: tamasheq è il dialetto parlato nel territorio di Timbouktou, tishoumaren è il nome specifico del genere musicale, da noi chiamato per comodità tuareg music). O ancora, le differenze lessicali, che fanno riflettere su quanto il modo di nominare le cose del mondo sia anche un modo per crearle e renderle vive, importanti e ricche di sfumature ai nostri occhi: ad esempio tenere è soltanto uno dei molti modi per designare il deserto.

Questo riscaldamento per farci entrare meglio nell'ottica di Abba Gargando e della sua musica, che a mio parere sposta ancora un poco più in là gli immaginari confini creativi dei suoni del popolo tuareg. Confini che, a ben vedere, sono una bella frottola umana, la cui realtà illusoria emerge come una fata morgana tra le dune dei deserti del Sahel.

In Abba Gargando la trance e la circolarità ipnotica dei suoni vengono esaltate, oltre che dai riff delle chitarre, da un lavoro sulla ritmica che utilizza l'elettronica e non so quali altre diavolerie (una drum-machine? purtroppo le informazioni in rete non abbondano). Ci sono melodie sopraffine, e cose che piacerebbero un mondo ai fan del kraut-rock e di certo electro-pop odierno. E che effetto di straniamento pensare che il materiale è invece stato registrato e prodotto in Mali e Mauritania!






Si tratta di musica che viene tuttora scambiata e condivisa attraverso le micro-sim dei cellulari. 

Uno di quei casi in cui il medium, pur con i limiti a livello di pulizia sonora, diventa parte essenziale e vitale della cifra stilistica del contenuto. Un diverso modo di intendere la bassa fedeltà dunque, non lavorata in una cameretta dell'Upper East Side di Manhattan, ma ricavata con gli strumenti che si hanno a disposizione, sotto una tenda, in compagnia di innumerevoli granelli di sabbia, e di persone. 

Less is more ... ma è davvero less?



venerdì 6 novembre 2015

Una passeggiata nei boschi



Tratto dallo splendido libro di quel folle adorabile di Bill Bryson (ne parlai mesi fa a proposito de L'Estate in cui accadde tutto), il film - presentato al Sundance Festival e uscito a settembre negli USA - non ha ancora, e mi vien da dire, ovviamente, una possibile data di uscita italiana ...

Cast di sicuro affidamento, basta dare un occhio alla locandina ;-)